Quali diritti per gli eredi nel caso di un ricorso per equo indennizzo della Legge Pinto?

Abbiamo parlato del ricorso per equo indennizzo previsto dalla Legge 89/2011, c.d. Legge “Pinto”, (https://www.studiolegalelacchia.it/legge-pinto-come-ottenere-lequa-riparazione-per-leccessiva-durata-dei-processi/)ma proprio il fatto che tale ricorso possa essere presentato dopo vicende giudiziarie durate lunghissimi anni, fa sorgere la legittima domanda di alcuni assistiti  circa la possibilità che  i loro eredi possano ottenere l’indennizzo a titolo di equa riparazione per il processo troppo lungo subito dal loro “de cuius”.

La risposta è si, gli eredi del “de cuius” che lamenta di aver subito un procedimento irragionevolmente lungo possono entrare in conto ai fini dell’equo indennizzo, ma con alcune precisazioni.

Occorre innanzitutto ricordare che la legittimazione circa l’azionabilità del ricorso all’equo indennizzo appartiene alla parte processuale. Ciò significa che la causa, della cui lunghezza ci si lamenta, deve avere interessato personalmente – e non indirettamente –  la parte processuale in questione, dovendo valutarsi i danni che questa stessa ha subito dalla durata irragionevole del procedimento

La possibilità di ottenere l’equo indennizzo può dunque spettare a tali persone nella loro qualità di eredi che succedono nel diritto all’equa riparazione spettante al defunto, loro “de cuius”, ma anche in qualità di parti della causa, qualora si siano costituiti in giudizio al posto del defunto e da tale momento, sia maturato un ritardo irragionevole del processo.

Come chiarito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 17991/2016, l’indennizzo previsto dalla Legge Pinto non opera  infatti automaticamente, ma è fondato sul concreto danno subìto dalla parte a causa dei ritardi della giustizia, sicché si creano diverse frazioni temporali del processo che debbono essere valutate separatamente, non escludendo la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo. 

Due indennizzi sembrano maturare in favore degli eredi posto che – secondo la Corte di Cassazione nella sentenza citata – “vi è la necessità di distinguere l’azione esercitata dalle N. , quali eredi di N.F., da quella relativa alla durata non ragionevole del processo vantata iure proprio dalle stesse N.”:

Nel primo caso, è possibile  identificare un diritto per il ritardo del processo a partire da quando questo è stato instaurato fino a quando la parte originaria è deceduta: tale indennizzo si trasmette agli eredi per effetto della successione;

Qualora invece la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, iure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatasi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa.

Ne consegue, in questo secondo caso, se l’erede assume la qualità di parte attraverso un atto di riassunzione o una citazione in causa, ha diritto ad una definizione del giudizio in tempi ragionevoli che discende dalla sua costituzione nel giudizio, essendo gli eredi – a tutti gli effetti – delle parti processuali e ben potendo risentire dalla lesione del diritto ex art. 6§1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Tuttavia, se trascorso poco tempo tra la data di costituzione e la conclusione del processo non risulta maturato il ritardo irragionevole, l’indennizzo non spetta all’erede. Fino a quando infatti il “de cuius” è in vita, rimane lui il legittimato attivo ad agire per la tutela del suo diritto alla ragionevole durata del processo garantito dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.A seguito del decesso,l’arco temporale che intercorre tra la data della domanda giudiziaria e la data del decesso del “de cuius” deve essere apprezzabile, ossia sia superiore a tre anni, termine considerato di ragionevole durata per un giudizio di primo grado.

Occorre dunque avviare la causa di equa riparazione se il segmento temporale copre almeno gli anni considerati come integranti un’irragionevole durata.

In ogni caso, tutti gli eredi, siano essi legittimi oppure testamentari debbono agire in giudizio con un unico ricorso per equa riparazione in quanto la Corte di Appello liquida il danno da equa riparazione “pro quota” ereditaria, secondo le norme del codice civile.

Peraltro, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 28507/05, superando un precedente indirizzo restrittivo, hanno riconosciuto la legittimazione degli eredi a proporre la domanda di equa riparazione per l’eccessiva durata del processo anche se quest’ultimo è stato instaurato dal loro dante causa prima dell’entrata in vigore della Legge Pinto.

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