La “chat” quale prova del tradimento in sede di separazione-divorzio.

Come già chiarito nel precedente approfondimento (https://www.studiolegalelacchia.it/sms-messaggi-e-conversazioni-i-social-come-nuove-prove-nel-processo-civile/), gli SMS, le chat e tutti i messaggi trasmessi mediante l’ausilio delle piattaforme virtuali entrano oggi di pieno diritto nelle prove documentali delle quali le parti processuali possono legittimamente avvalersi al fine di dimostrare determinate circostanze di fatto.

Occorre tuttavia comprendere se quanto esposto può valere anche nella prova dell’infedeltà del partner.
Sovente nelle aule di giustizia si assiste a casi ove un coniuge è venuto alla scoperta del tradimento dell’altro dopo il consulto di alcune conversazioni chat presenti sul cellulare – p.c. di quest’ultimo, senza averne richiesto e ottenuto preventivamente il consenso dell’interessato.

Mentre nel processo penale una tale prova è inutilizzabile in quanto acquisita illegittimamente, nel processo civile la valutazione circa l’utilizzabilità o meno di essa è rimessa alla discrezionalità del Giudice.
La parte potrà, pertanto, produrre il documento nel quale sarà estrapolata la conversazione, rimettendosi, per quanto attiene alla sua ammissione nel giudizio, al prudente apprezzamento del giudice istruttore.

In materia di liceità dell’uso di comunicazioni e dati privati del coniuge come prova nel giudizio civile di un tradimento, si è pronunciato anche il Tribunale di Roma.
Nella sentenza n. 6432 del 30.03.2016, esso ha evidenziato come in un contesto di coabitazione e di condivisione degli spazi via sia un affievolimento della sfera di riservatezza tra i coniugi, determinato dalla loro condivisione dei tempi e degli spazi di vita.

In particolar modo, il Tribunale ha riconosciuto come in tali ipotesi vi possa essere una implicita manifestazione del consenso di ciascun coniuge alla conoscenza di dati e comunicazioni di natura anche personale ogniqualvolta non vi sia una attività specifica volta a evitarlo quale potrebbe essere, a titolo esemplificativo, l’inserimento di una password di accesso al proprio dispositivo.
Secondo il Tribunale capitolino, “in un simile contesto, non può ritenersi illecita la scoperta casuale del contenuto di messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefono lasciato incustodito in uno spazio comune dell’abitazione familiare (…) dal momento che la produzione non può dirsi frutto di acquisizione illecita”.

A prescindere dalla opportunità di utilizzare dette conversazioni in sede di separazione-divorzio, dunque, il partner deve comunque essere ben consapevole che l’acquisizione di chat senza il consenso del soggetto interessato potrebbe essere fonte di addebito in sede penale.
Occorre, pertanto, un’attenta valutazione preliminare di quelle che potrebbero essere le eventuali conseguenze di una scelta in tal senso, concertando la strategia migliore.

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